Inoltrarsi in una foresta di faggi, dice Alfredo Cattabiani in Florario, è come penetrare in una gigantesca moschea dai tronchi simili a colonne ...
Inoltrarsi in una foresta di faggi, dice Alfredo Cattabiani in Florario, è come penetrare in una gigantesca moschea dai tronchi simili a colonne, alti dai 20 ai 45 metri, di color grigio cenere pallido e dai rami molto alti. Diffusi soprattutto nell'Europa centrale, questi alberi sono oggi rari in Italia mentre erano più frequenti nell'antichità, tanto da essere cantati dai poeti per la loro ombra rinfrescante, come testimonia Virgilio nelle Bucoliche:
Tityre tu patulae recubans sub tegmine fagi
sylvestrem tenui Musam meditaris avena (....).
Una delle faggete più spettacolari corona il monte Cimino, nel Lazio settentrionale. Da una comune radice indoeuropea è derivato sia il latino fagus che il tedesco Buche da cui a sua volta deriva Buch libro, perchè un tempo dalla sua corteccia si ricavava la carta. In francese il faggio è detto hetre. La corteccia dei rami, che contiene tannino, era utilizzata come febbrifugo e tonico e anche contro la disseneteria, a causa del suo effetto astringente. Il catrame ricavato dal legno, chiamato creosoto, è un potente antisettico usato come disinfettante dei polmoni in molti sciroppi.
Probabilmente il faggio (Fagus sylvatica) fu, come molti altri alberi, simbolo di quell'albero cosmico che unisce cielo, terra e inferi, sostenendo e nutrendo il cosmo. All'epoca di Plinio esisteva ancora un tempio dedicato a Juppiter fagutalis di fianco a un faggio sacro.
L'albero continuò ad ispirare la fantasia popolare, tant'è vero che in Lorena e nelle Ardenne lussemburghesi si credeva che non venisse mai colpito da un fulmine.