Salix

Ai salici lungo le sponde avevamo appeso le nostre cetre...

Nell'immaginario popolare il salice piangente è diventato l'emblema del ricordo nostalgico, della malinconia, del rimpianto. Il salice piangente non è originario dell'Europa ma della Cina, da dove fu portato soltanto nel 1692 per essere classificato da Linneo come Salix babylonica in ricordo di un versetto dei Salmi in cui si rievoca la cattività degli Ebrei. Ma il salice dell'Antico Testamento non poteva essere quello cinese ma una delle tante specie che, originarie del Vicino oriente, si sono diffuse in Europa fin dai tempi arcaici. Omero scriveva “I salici che perdono i frutti”, osservazione desunta da Teofrasto, il quale notava come i frutti dei salici cadessero prima di giungere a maturazione. In realtà la fruttificazione è rapida e i frutti sono capsule che si aprono per lasciare uscire i semi che vengono trasportati dal vento.

Il salice evocò quindi ai Greci l'immagine di un albero uccisore del proprio frutto e per questo motivo esso divenne sacro a tutte le dee madri. L'albero era anche sacro a Persefone ed era un albero molto importante per i Celti tanto che i sacrifici umani per i Druidi venivano offerti in cesti di vimini. In latino era detto salix ma i Romani chiamavano vimen quelle varietà come l'alba, il triandra o il purpurea i cui rametti flessibili venivano utilizzati per la fabbricazione di cesti. Vimen ha ispirato anche il nome di uno dei colli di Roma, il Viminale, così detto perché un tempo era ricoperto di salici. La proprietà più nota di questa pianta è quella della corteccia usata in passato per combattere la febbre contenendo salicina che oggi viene sostituita nei medicamenti dall'acido acetilsalicilico come nell'Aspirina.

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